Religione aperta per uomo aperto

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“Il cristianesimo non è una serie di norme soffocanti, è al contrario il ‘desiderio di cose grandi’, talmente grandi che superano la capacità umana. Per accoglierle bisogna accettare di essere dilatati, di essere persino squarciati.”

Fabrice Hadjadj

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Lucciole di grazia

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Budrie 2016 – Anniversario della morte di Santa Clelia (13 luglio 1870)

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Cielo-Terra, Nubi-Alberi

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Vale anche per la fotografia questa frase di Pessoa: “La letteratura, come tutta l’arte, è la confessione che la vita non basta”.

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Natura e cultura

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Ma la natura vicino a costruzioni dell’uomo è ancora natura (il fiore in primo piano e l’albero sullo sfondo)? E la cultura non è fatta sempre imitando o usando la natura (muro di pietre)? E una foto della natura è ancora natura? Oppure una foto, essendo fatta da noi, è ancora natura perchè noi siamo natura? Sarà il caldo?

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Nave spaziale

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Nave spaziale
per i cieli più alti

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Nel frammento

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Abbazia di Valserena.

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Scrittura

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Terra arata.
Scritta, recitata.
Foglio di pietra.
Albero-penna, stilo, biro.
Frasi di senso.
Terra sensata.

Fuoco di senso

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Stasera gran tramonto. Il sole cala in linea con il campanile e il cielo sembra infuocato. La natura senza il sacro è bella uguale, ma il sacro, il cielo “celeste”, gli dà un significato. Il mondo creato sembra infatti un alfabeto; le cose sono come parole, verbi, articoli, segni di alfabeti misteriosi: cosa vogliono dire? a cosa alludono? di chi e di cosa stanno parlando? Ma poi, vorranno davvero dire qualcosa? O è tutta una nostra invenzione? Non siamo allora di fronte a un coacervo di segni insignificanti, di forme deformi, di suoni in-sensati? Un chiasso momentaneo disturba la pace dell’universo, per presto ritornare a esserne riassorbito nell’eterno silenzio. Ei fù, sì ci fu un boato breve come il coito del mandriaco. Un lampo nella notte e poi più nulla. Ci aveva illuso quel lampo, quel frastuono che ci capita di vivere. Sembrava che fosse un poema da decifrare, una missiva da interpretare, un copione da vivere. E invece nulla, solo una grande presa in giro. Peggio di quei politici che profondono retorica inconcludente. Meglio rassegnarci e non cascarci più davanti alla bellezza alludente del creato. Che, tra l’altro, e anzi proprio per questo, non è creato. Sguardo freddo e rassegnato. Cuore anafettivo. Nessuna bellezza ci deve incantare per la grande truffa. Nessun dolore ci deve impietosire. Freddi e indifferenti atomi che casualmente assumono una forma traditrice di bellezza e di pietà. Ma è un imbroglio…

Oppure no? E se fosse? Se invece la bellezza fosse un segnale per salvarci dallo scetticismo indifferente, che ci spinge a diventare pietre prima di morire? Duri come sassi anzitempo. Se invece fosse un segnale morse che ci interpella, che chiama la nostra persona chiusa nella campana di vetro, che simile a rugiada irrora l’arsura del cuore sabbioso? Se invece proprio la lacrima di dolore per ciò che non è giusto e lo stupore per l’incanto di ciò che è bello prima di ogni nostro commento e giudizio, proprio queste semplici cose, un pianto e un sorriso, fossero ciò che ci salva? Messe lì proprio per questo? Non sarebbe allora un grande sbaglio, una tremenda superstizione, lasciarsi truffare da chi spaccia il nulla, dalle idee refrattarie al senso? Attenti, amici cari, ne va del sempre e del meglio. Gettare la lettera con sprezzante orgoglio, ritenendola un foglio insensato; rimanere di pietra davanti al piccolo oltraggiato; dire, con alzata di spalle, “E allora? Tutto qui?”, di fronte alla nuda bellezza che irrompe nella sera; tutto questo è grave errore che rischia di rovinare il sempre e il meglio dell’eterno viaggio di cui la lettera del creato sembra parlare, e che purtroppo ci fa essere già ora, prima dello stacco, sciocchi profeti di morte e boriosi sacchi im-pietriti.

Voglio proprio vedere chi riesce a vivere nella dura coerenza del sasso. Perché è quello che aspetta chi nega il senso, la sensatezza delle parole del creato e il significato dei segni che ci zampillano da tutte le parti. Il sasso, essere e vivere da sassi, anzitempo. Voglio vedere chi ci riesce. Invece vedo negatori del creato commuoversi e ridere, piangere e stupirsi, ribellarsi e abbracciare. Vedo che chi nega il Creatore, e di conseguenza il senso nel creato (se nessuno parla, non ci sono parole ma solo chiasso, rumore di fondo), non diventa sasso, perché lo sente inconsciamente assurdo. E allora che non sia questa una dimostrazione, una verifica della giustezza di chi interpreta il mondo come un sistema grammaticale? L’impossibilità di diventare sasso anzitempo, e proprio da parte di chi nega il parlatore, cioè il creatore, sembra davvero una mano tesa, incoraggiante, alla ragionevolezza di trattare come parole cariche di senso ciò che vive nel tempo, compreso l’uomo, noi stessi. Orsù allora, piangiamo e ridiamo, tutto ciò ha senso. Il sacro, velato nelle forme del tempo, salva il tempo dallo scorrere insensato verso l’eterno silenzio, e dona al piccolo uomo (piccolo maschio e piccola femmina) il vigore di essere dalla parte giusta nella faticosa cura e nella gioiosa dedizione amorosa.

Stanze della gran stanza dell’universo

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Il mare è profondo (al largo)
non queste parole, superficiali come una foto.
Le stanze sono fotogrammi.
Molteplici come gli sguardi.
L’idea del profondo può essere un abbaglio.
Se fosse tutto piatto, senza fondo, né segreto.
Tutto è come appare, nient’altro, né messaggio.
Il mare senza dentro ma solo pelle? Epi, epi?
Perfino l’epiderma riceve dallo strato profondo cellule migranti, ascendenti.
Il mare ha il profondo. Il mondo è profondo.
Le conchiglie sulla spiaggia,
viaggiano e migrano, arrivano, salgono.
Testimoniano gli strati del mare, i livelli del mondo.
Linguaggio e grammatica; parole e gola; segno e senso.
Gli sguardi aprono stanze. Parallele, intricate, intrecciate.
Come conchiglie le foto dicono del viaggio dell’osservatore.
Non solo della cosa.

Come si coglie il profondo se non si viene dal fondo?
Le stanze-conchiglie, parlano del fondo della cosa e dell’uomo che la conosce.
Interfaccia tra due fondi. Pretesto per il loro incontro.

Ave Crux, spes unica

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La morte disfa.
Tutto è disfabile.
Nulla sfugge.
Anche lei,
L’ultima superstizione.
Grazie a Cristo la chiamerò:
La Disfatta.

L’ape e il fiore

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C’è bisogno e c’è la soddisfazione del bisogno. Sublime sincronia. Ammirabile sintonia. C’è la fame e c’è il cibo per soddisfare la fame. C’è l’ape e c’è il nettare. Che la religione, e Dio come suo soggetto, sia la risposta al bisogno dell’essere umano di felicità, immortalità, compagnia, senso… più che essere dimostrazione che è tutta un’invenzione, è per me l’attestazione della sua credibilità.

In linea con gli altri bisogni umani anche quello religioso ha la sua soddisfazione. Ciò non significa che Dio, la risposta, sia disponibile immediatamente, come non vuole dire che chi ha fame trovi subito il cibo. Ma significa che la risposta c’è, cioè che Dio esiste davvero. Proprio il bisogno, che fa rivolgere l’attenzione a un Dio, esprime la reale possibilità della sua esistenza. Che ammirabile sincronia tra bisogno e soddisfazione. Che sublime sintonia tra stomaco e cibo, tra adorazione e Adorato.

A Betsaida, la nostalgia della forma

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Arrivati a Betsaida portano a Gesù un cieco per guarirlo. Il miracolo è strano, in due tempi. La prima volta mette della saliva sugli occhi, gli impone le mani e gli chiede: “Vedi qualcosa?” Gesù sembra incerto dell’esito. E’ pronto ad aggiustare il tiro. Il cieco risponde in maniera altrettanto strana: “Vedo gli uomini, poiché vedo come degli alberi che camminano”. Alora Gesù impone di nuovo le mani e la guarigione fu perfetta: “Ed egli ci vide chiaramente e fu sanato e vedeva a distanza ogni cosa”. Infine il testo di Marco (8,22-26) termina con un’altra stramnezza: “E lo rimandò a casa dicendo: Non entrare nemmeno nel villaggio”. Come fa ad andare a casa senza entrare nel villaggio? O abita fuori dal villaggio, poichè essendo menomato non fa parte in pieno della polis; oppure vuole semplicemente dire che non deve mostrarsi (lui che è tornato a vedere) non deve raccontare quello che è accaduto, per via del segreto messianico proprio di Marco.

Questa cosa della visione ancora incerta e il nominare gli alberi mi è venuto in mente quando oggi ho fatto diverse foto con una riudimentale tecnica di frammentazione della forma. Cielo nuvole e alberi frammentati, sbriciolati, ma ancora distinguibili. Ho pensato che queste immagini significano la fatica della ricomposizione della forma, la nostalgia della forma. Una visione non perfetta come di chi arriva alla vista dopo la cecità, in cui deve riassestare le forme di vita. Non tanbto o non solo il deflagrare della comprensibilità del mondo, oggi così tipico, ma anche il processo opposto di ricostituzione della forma-mondo.

Il fatto che Gesù Cristo abbia fatto il miracolo in due tempi potrebbe significare i due tempi della sua benedizione. Oggi siamo dentro la prima benedizione dovuta alla sua prima venuta, la sua prima parusia. Con la fine dei tempi e il suo definitivo ritorno la grazia della visione sarà completa e la nostalgia che connota questo tempo lascerà il posto alla gioia piena della visione nitida. E potremo tornare a casa passando dal villaggio, perchè saremo a casa e saranno finiti i segreti.