Festoso arrivare

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Irresistibile
l’apparire.
Certo dispiace l’andarsene
del tempo, degli istanti.
Rammarica il continuo
sfluire, sfinire, sfiatare.
Ma quanto più sorprende,
se ci pensiamo,
il silenzioso arrivare.
Il tempestoso venire.
Da dove? Chi e come mai?
Ci siamo
questo so di certo.
Per poco?
Sicuramente sì.
Ma l’aver brillato,
l’aver cantato anche una singola nota,
avere sorriso sorridendo all’incanto
dell’essere apparsi, dell’esserci,
questo ripaga il pianto della fine.
E se poi non ci fosse?
Se l’andare fosse un entrare?
Che bello l’abbraccio dei superstiti.

La tenda della Dimora

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IMG_5576La lettura della liturgia di oggi mi ha colpito per questo riferimento alla Dimora, alla Testimonianza, al velo, alla Gloria. Ho pensato a quela foto associare al testo e ho subito trovato questa immagine (scelta molto velocemente tra le diverse che ho fatto) ralizzata recentemente ieri l’altro al Kerakoll di Formiggine. Una tenda ariosa e misteriosa. La sua ariosità si apre al fuori, all’altro. Lo specchio esalta il pensiero dell’alterità.

Nel secondo anno, nel primo giorno del primo mese fu eretta la Dimora. Mosè eresse la Dimora: pose le sue basi, dispose le assi, vi fissò le traverse e rizzò le colonne; poi stese la tenda sopra la Dimora e sopra ancora mise la copertura della tenda, come il Signore gli aveva ordinato.

Prese la Testimonianza, la pose dentro l’arca; mise le stanghe all’arca e pose il coperchio sull’arca; poi introdusse l’arca nella Dimora, collocò il velo che doveva far da cortina e lo tese davanti all’arca della Testimonianza, come il Signore aveva ordinato a Mosè. Allora la nube coprì la tenda del convegno e la Gloria del Signore riempì la Dimora. Mosè non potè entrare nella tenda del convegno, perché la nube dimorava su di essa e la Gloria del Signore riempiva la Dimora”. (Esodo 40,16-21.34-35)

Muro e Porta

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IMG_5402Contrasto simbolico tra il Muro e la Porta. Un muro rosso (di sangue?) e una porta multicolore. In meszzo alla porta si vede un altro piccolo totem rosso, sembra quasi un brandello di muro superato. in questo caso siamo già oltre, abbiamo varcato la Porta. Il verde (ne ho delle versioni con solo gli elemenyi puri contro l’azzurro del cielo) ricorda il Giardino lussureggiante, l’Eden. La Porta è simbolicamente sempre un richiamo all’Eden, alla felicità piena e totale da raggiungere varcando il regno del limite negativo (c’è infatti un limite buono, saggio e fecondo. Anche eternamente parlando il limite rimarrà: non siamo Dio e continueremo a non esserlo, ma lo “assaggeremo” nell’abbraccio).

Lo specchio però mostra che la Porta è riflessa, come in uno specchietto retro-visore o ante-visore. Siamo ancora nel tempo del sogno, del desiderio, della nostalgia, della profezia dell’Eden.

Riflessi indesiderati

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Una prova per valutare i doppi riflessi dei fiori.

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Icona orizzontale del Sabato santo

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Sempre il Sabato santo, col suo silenzio divino, mi muove parole, mi spinge a dire la perfetta corrispondenza del giorno simbolico con i giorni reali vissuti dalla mia anima e dal nostro tempo. Un giorno che esprime i giorni. È l’icona orizzontale, in scala 1:1, della puntuale coincidenza tra rappresentante e rappresentato. Come giorno liturgico non ci sono particolari riti, se non la festosa benedizione delle uova decorate, che bimbi e adulti portano in cestini colorati. Una calca gioiosa in una chiesa spoglia, disadorna, priva del Signore nel tabernacolo, vuota della presenza di Dio. Nel Sabato santo siamo tornati, per poche ore, alla situazione ancestrale, cioè al primitivo fai da te nei confronti del rapporto con Dio: dobbiamo arrangiarci a cercarlo, a rappresentarlo, a immaginarlo. Ce lo siamo cercata, è vero. Chi lo rifiuta, chi lo scaccia a male parole, perfino lo fa fuori con violenza letale, poi non dovrebbe lamentarsi del suo silenzio, di questa assordante assenza.

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Buona Pasqua!

Pasqua 2015

Buona Pasqua!

Facendo foto con lo specchio a questo albero fiorito passavano aerei che lasciavano una fastidiosa scia. Allora ho pensato di sfruttarla facendola diventare una traccia estetica che esalta la gloriosità della Rinascita.

Prato / otarP

Prato / otarP

Eppure c’è vita.
Rigogliosa perfino.
Ma anche se verde,
Il muro è impenetrabile.
Restiamo di qua e Tu di là.
Inutile insistere, non ti commuovi.
L’urlo non lo fora, le lacrime non lo sciolgono.
Sembra perciò inutile rispondere con fermezza
alla tua ferma, risoluta, decisa, impresenza.
Eppure questo stesso grido,
questa stessa preghiera, pur convulsa,
non ci sarebbe senza Te, senza l’intravederti.
Dove sei allora? Se ci sei senza esserci?
Se nemmeno ti si può invocare senza il Tuo beneplacito?
Deve pur averti presagito l’anima sola
Che non si accontenta della sua devastante solitudine?
O benedetta lamentela che schiudi l’orizzonte.
Chi placido bruca il prato, fintamente beato,
Chi assapora la terra, le novità, il rettangolo cerchiato del qua.
Costoro non li invidio.
Meglio la rivolta, perchè l’appello alla gioia del reale
Si compie non da me, non da sè.
La promessa fa bene il suo lavoro quando non pretende
Di essere la risposta.
Il mondo è promessa.

La natura esiste

Alberi a Mantova

La natura esiste. Ed esiste come natura. Cioè come un insieme composto di identità non identiche. Di essenze strutturate, precise, determinate e particolari. Si vorrebbe il mondo come amalgama indifferente, di figure equivalenti, materia informe che poi ci penserebbe la coscienza a strutturare. La nostra mente sarebbe una grande produttrice di realtà. Senza di noi sembra che il mondo stesso non esista. Sembra che siamo noi a farlo essere. Ma il mondo si fa beffe del nostro senso di superiorità. Di cattiva superiorità, perché è vero che siamo superiori, ma non al punto di essere ideatori del reale.

La natura sta lì, di fronte a noi, splende di luce propria. O meglio, di luce ricevuta. Non è il mondo la luce ma risplende della luce che riceve. Non si autocrea, autoproduce, il mondo. Esso riceve l’essere, in tutte le sue parti. Lo riceve informato, strutturato, definito. Il lento o veloce evolversi del mondo sperimenta forme, nel senso che le sceglie tra le miriadi possibili nell’enorme, infinito, guardaroba dell’intelletto divino. E noi, piccole ma meravigliose creature, noi siamo lì a bearci dello spettacolo. Noi riceviamo come in uno specchio levigato il variegato spettacolo cosmico. In noi si avvera la profezia che il mondo contiene. Una lettera in un cassetto è una profezia latente, implicita; dice intrinsecamente di una grammatica; attende un lettore; nel suo stesso esistere la lettera profetizza il lettore. Anche se fosse chiusa in un cassetto, che nessuno legge e nessuno ancora sa di lei, eppure quella lettera nascosta reclama silenziosamente due occhi che la leggeranno e delle menti che la comprenderanno.

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La linfa delle cose

Dalle parti del Maggi

“Le foglie di un albero appartengono dunque più a Dio che all’albero stesso. E l’albero viene dal Cielo ancor più delle nuvole, giacché un ippocastano è una creatura vivente, che partecipa delle perfezioni divine più dell’aria condensata in un cumulo. E’ il Cielo la linfa vitale della sua linfa…”
(Fabrice Hadjadj, “La Terra strada del Cielo”)

Da lontano

Da lontano

Arriva, e ci carica.
Non arriva, parte.
Viene,, (due virgole) da dove.
Da lontano, come un orgasmo.
Come un sorriso.
Senza trucco.
Che mi pare ci sia (per forza)
in chi racconta l’impensabile.

 

Patrizia

Patrizia

Fine 1977. Casa vecchia di campagna di Patrizia. Polaroid di un pomeriggio d’inverno, molto simile a oggi, giorno dal cielo grigio e senza pioggia. Quella casa era meta delle feste del nostro gruppo di amici. Piccola e affascinante per la sua “very original” vecchiezza. Nell’unica stanza un piccolo focolare, un secchiaio e la scala per salire alle camere. C’era anche una porta che apriva su uno stanzotto-ripostiglio-sottoscala. Sul muro si intravvedevano i resti di una carta da parati fiorata.

Queste foto sono di un pomeriggio in cui probabilmente eravamo andati per preparare l’ambiente per un’imminente festa (Capodanno? Carnevale?). Patrizia nella foto sulla porta di casa è festosa e lievemente imbarazzata, timida. Nell’altra, seduta, è in una posa che esprime una paziente rassegnazione alle mie insistenze di fotografo.

Patrizia

La Polaroid con il suo formato quadrato conferisce all’immagine una razionalità speciale. Ritaglia il mondo con uno sguardo logico, di perfezione matematica. Ed è davvero interessante il contrasto tra l’aura di precisione del ritaglio e il lontano non-più di quegli attimi sereni. La casa vecchia acuisce la distanza temporale del non-più. Lo stesso fanno gli oggetti di un tempo, come il “prete” appoggiato al muro, in cui si mettevano le braci per scaldare il letto; o la scritta “Franck” sullo scatolone, di chissà quale prodotto sicuramente “fuori commercio”; la bicicletta “Graziella” che si intravvede appoggiata al muro; il maglioncino col girocollo, come andavano allora.

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Il contrasto tra il rigore astratto della pura forma quadrata e le forme concrete e riconoscibili di cose e persone; tra il logos atemporale/razionale e il pathos del lontano e vitale non-più; tra il “sempre” di una legge matematica e il “mai più” di attimi di vita; tutto questo commuove. La porta a vetri ha una cornice che suddivide in quattro parti il quadrato della sua forma. Una croce che ha un centro. Sintesi dei due assi, della forma del pathos e della formula del logos, del tempo e dell’eterno. E’ quindi possibile coniugarli?

Ponte

Ponte

Un ponte dell’andata e uno del ritorno. E in mezzo il fiume del tempo che scorre lento e tranquillo. Ma anche il fiume specchia il mondo che attraversa. Il tutto forma una specie di occhio. Guardare è un pò come duplicare ciò che si vede. Conoscere è rispecchiare. Pensare è “riflettere”.